Claudia Forcignanò
Quella di Rodolfo Valentino è la storia di una vita che si è spenta troppo presto, ma nei pochi anni che gli sono stati concessi sulla terra, appena 31, questo giovane artista nato a Castellaneta da una famiglia borghese, è riuscito a conquistare masse di ammiratori, far innamorare migliaia di donne e realizzare film che lo hanno reso immortale.
Il padre di Rodolfo Alfonso Pietro Filiberto Raffaello Guglielmi, questo il vero nome di Rodolfo Valentino, aveva una mente brillante e un passato avventuroso: era stato un veterinario con trascorsi circensi, capitano di cavalleria ed esperto di araldica, tanto da essere certo di avere origini nobili. La madre invece, Marie Gabrielle Bardin, aveva origini francesi, era dama di compagnia di una nobildonna italiana ed intratteneva ottimi rapporti con la borghesia italiana.
Rodolfo Valentino visse a Castellaneta fino al 1904, anno in cui si trasferì a Taranto, ma quando il padre morì, fu mandato a Perugia per terminare gli studi presso il Collegio Convitto per gli Organi dei Sanitari Italiani.
La natura ribelle e insofferente del giovane Rodolfo gli costò cara e poco dopo il suo arrivo in istituto, fu espulso.
Tentò quindi la carriera militare, iscrivendosi all’Accademia della Marina di Venezia nel 1909, ma fu scartato per problemi fisici e alla vista e quindi si spostò a Genova, dove finalmente riuscì a conseguire il diploma in agraria.
Per Rodolfo l’Italia, il sud in particolar modo, era una prigione da cui evadere e lo face partendo alla volta di Parigi per studiare danza, fino a quando, raggiunti i 18 anni, l’eredità del padre gli permise di volare a New york.
Il 23 dicembre 1913, diciottenne sprovveduto e assetato di nuove esperienze arrivò in America, ma in poco tempo rimase senza soldi, così senza perdersi d’animo, lavorò come cameriere, giardiniere, ballerino nel night club Maxim e fece anche il taxi dancer.
Rodolfo Valentino cresceva e con lui cresceva anche la sua bellezza resa ancora più intensa del colore scuro dei capelli, dal taglio dolcemente allungato degli occhi e dal volto delicato.
Il fisico forgiato dalla danza e il naturale portamento aggraziato, uniti ai modi galanti, furono una calamita per le donne e artiste della danza come Bonnie Glass, con la quale ebbe una breve relazione e Joan Sawyer, fecero coppia fissa con lui.
L’ingaggio in una compagnia teatrale di operetta, lo portò ad Hollywood per cercare fortuna come attore.
Dal 1914 al 1917 ricoprì ruoli di secondo piano in varie pellicole e questo gli permise di fare una buona gavetta e scegliere il nome d’arte cui giunse dopo una serie di tentativi non sempre azzeccati, fu infatti Rudolph Valentine, Rodolph Valentino, Rudolfo Valentino, Rodolph Valentine, Rudolph Volantino, M. Rodolpho De Valentina e Rodolfo Di Valentini, fino ad arrivare a Rodolfo Valentino.
La sua vita sentimentale nel frattempo era confusa e spesso disturbata da pettegolezzi che lo vedevano più attratto dagli uomini che dalle donne, tanto che si vociferava che durante il suo soggiorno a Parigi, oltre a prendere lezioni di danza, avesse fatto il gigolò per uomini.
In ogni caso, un anno dopo la morte della madre, avvenuta nel 1918, sposò Jean Acker, ma sarà un matrimonio record, perché dopo appena sei ore chiese il divorzio, che venne ufficializzato nel 1923.
Il successo per Rodolfo Valentino arrivò nel 1921, quando il regista Rex Ingram, lo ingaggia per “I quattro cavalieri dell’Apocalisse” facendogli ballare un tango che farà impazzire le donne di tutte le età e che farà passare in secondo piano le voci che raccontavano di una relazione con il regista.
Ormai la strada verso il successo era spianata: le donne lo amavano, gli uomini lo imitavano vestendosi e pettinandosi come lui, era un attore dal carisma naturale, ogni ruolo sembrava cucito addosso a lui per esaltarne le movenze e la fisicità
Sul set di “Camille”, conobbe Natasha Rambova, che sposò nel 1923.
Quando dopo soli otto giorni di matrimonio fu arrestato per bigamia, in quanto risultava essere ancora sposato con la Acker e pronunciò una frase che mandò in visibilio le sue fans accrescendo ulteriormente l’ideale di uomo romantico e sfrontato al tempo stesso: “Per gli occhi di una donna si può anche andare in prigione”.
Nel 1926 il matrimonio con la Rimbova, che era diventata manager di Valentino e ne gestiva in toto la carriera, finì a causa delle discussioni con la Paramount, che a suo dire non valorizzava abbastanza il marito, ma quando subentrò la United Artists, alla donna fu categoricamente vietato di interferire. Lei, per vendicarsi, raccontò pubblicamente aneddoti imbarazzanti sulla vita dell’ormai ex marito.
Se da un lato il pubblico lo osannava, dall’altro una parte di stampa, mirava a distruggerne il personaggio descrivendolo come un immigrato che aveva portato con se ambiguità e perversione, immeritevole di tanto successo, ignorando volutamente la sua professionalità indiscussa, il costante desiderio di migliorare, la passione per l’arte e la letteratura.
Nel frattempo il cinema muto cedeva il passo al sonoro, ma non sapremo mai come sarebbe potuta andare la sua carriera perché il 23 agosto 1926 viene stroncato da un’ulcera gastrica con peritonite dopo un intervento chirurgico al Polyclinic Hospital di New York.
La sua morte sconvolse l’America, il Polyclinic Hospital di New York fu preso d’assalto da fotografi e cronisti, oltre che da migliaia di ammiratrici in preda allo sconforto.
Il giorno del funerale, il feretro fu seguito da decine di migliaia di persone, il traffico fu bloccato e si registrarono decine di feriti, ma ciò che nessuno si sarebbe mai aspettato, fu l’impressionante ondata di suicidi che seguirono alla notizia della morte del divo e le decine di donne che dichiararono di aspettare un figlio da lui.
Sulla sua tomba, all’Hollywood Forever Cemetery, non mancano mai dei fiori freschi, tuttora Rodolfo Valentino, il ragazzo pugliese migrato in America per inseguire un sogno, è considerato il più grande divo del cinema muto.