NOVOLI (Lecce) – Sabato 23 febbraio (ore 21 – ingresso 10/8 euro) con Delirio Bizzarro, ultima creazione del duo siciliano Carullo – Minasi, prosegue Passi Comuni, stagione serale del Teatro Comunale di Novoli, in provincia di Lecce, realizzata dalla residenza diFactory Compagnia Transadriatica e Principio attivo teatro con Comune di Novoli e Teatro Pubblico Pugliese con il sostegno della Regione Puglia (Assessorato all’Industria culturale e turistica – FSC 2014-2020). Da anni impegnati in una ricerca drammaturgica originalissima che affronta con efficace e poetica ironia tematiche forti immerse nel disagio contemporaneo, domenica 24 febbraio (ore 20 – ingresso 8 euro, info e prenotazioni 3282233833), Giuseppe Carulli e Cristiana Minasi proporranno al Teatro Paisiello di Ruffano, in collaborazione con l’Associazione Kairos, il primo spettacolo della compagnia, “Due passi sono“, vincitore del Premio Scenario.
Delirio Bizzarro: un Centro di Salute Mentale e due personaggi. Uno, in condizione di “pazzo per attribuzione”, trascorre la propria vita a interrogare le stelle, discorde con il tempo presente; l’altra, donna perfettamente integrata, ossessionata dalla carriera, ma che avverte un’insania incipiente. Né pazzi né sani, Mimmino e Sofia in un dialogo serrato – braccio di ferro tra due esperienze di vita completamente opposte – si scopriranno simili, umani, sorridenti, autoironici, sebbene parti inconsapevoli di un sofisticato meccanismo congegnato per rendere l’uomo prigioniero di sé stesso. Si incontrano in una terra di frontiera, il Centro Diurno di Salute Mentale “il Castello”, in cui il confine tra coloro che stanno dentro e coloro che stanno fuori sfuma in un indistinto resistere tra protocolli da rispettare e vite da normalizzare. Cattedrale ultima dell’identità alienata e interrotta dell’uomo contemporaneo, il “Castello” rimbomba dei dialoghi di due solitudini, nella logica d’un mondo che continua a categorizzare e che quindi esclude. L’ organizzazione sociale, nella sua invadente assenza, è la protagonista indiscussa dello spettacolo: il rimando alla sua amplificata mancanza è affidato all’elemento (indiziale) della scena (vuota). Non rimangono che le mura d’un “Castello” ideale alla cui forma non corrisponde la sostanza: non uno psichiatra, non un pranzo, non un bagno. Due imponenti pareti sconnesse, un labile confine per raccontare un sistema che legifera l’apertura delle porte dei Manicomi ma che -violento- ancora dimentica, respinge e separa. Una scultura quale metafora della società solo protetta da un pannello come fosse una maschera che non com/prende (mette insieme) le parti che tutte le appartengono. “La follia è una condizione umana, in noi la follia esiste ed è presente come la ragione” Basaglia. L’elaborazione drammaturgica del testo è partita da confronti e scambi avuti con pazienti di strutture psichiatriche, dialoghi che hanno consentito di raccogliere quadri di vita vissuta. L’esperienza della cura del male mentale s’è trasformata in pretesto per raccontare la società e le sue disfunzioni, approdando ad una follia tutta contemporanea, lì dove è folle la struttura non coloro che la abitano. Dietro il semplice obiettivo di condividere esperienze di vita, s’è sviluppata una ricerca assai singolare lì dove la vera sorpresa è stata la difficoltà d’operare nette distinzioni tra il sano e il malato, tra il certificante e il certificato. Nulla accade se non viene registrato, fuori dall’elenco non esiste nulla, non esistono gli operatori, non esiste la cura.