Dal 2 al 6 febbraio “L’ultimo discorso di Pitagora” in Vallisa con Virginio Gazzolo

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BARI – Dopo aver omaggiato Omero e Dante nel nome di Ulisse, Virginio Gazzolo celebra un grande filosofo e matematico dell’antichità nel segno di Ovidio con «L’ultimo discorso di Pitagora», monologo in programma da mercoledì 2 a domenica 6 febbraio nell’auditorium Vallisa di Bari (ore 21, domenica ore 19) per la rassegna «Teatro Studio» della Compagnia Diaghilev.

Una carriera iniziata negli anni Sessanta sia nel circuito teatrale “ufficiale” che nell’ambiente delle “cantine” romane animato da Vittorio Sindoni, Leo De Berardinis e Antonio Calenda, con il quale contribuisce alla fondazione del Teatro dei 101 frequentato da Piera degli Esposti e Gigi Proietti, Gazzolo torna in Puglia per presentare una favola sul leggendario matematico greco, primo vegetariano della storia e fondatore a Crotone di una scuola filosofica nelle forme di una comunità religiosa con intenti di rigenerazione morale e politica.

Gazzolo centra l’originale testo partendo dal celebre ultimo discorso di Pitagora così come ci è stato tramandato dal poeta latino Ovidio nelle «Metamorfosi», ma anche dalle testimonianze delle sue numerose discepole, espressione di un universo femminile che riuscì ad affermarsi in un mondo antico irrimediabilmente maschilista. Furono almeno una ventina le pitagoriche più illustri. E da queste Gazzolo ha scelto di prendere a prestito ricordi e aneddoti per incrociarli con quelli di Ovidio e raccontare la vicenda di Pitagora, quest’insigne personaggio proveniente da Samo ed espatriato per odio verso il regime di Policrate, tiranno dell’isola egea.

«Tuttavia, non racconto una storia, ma un mito – spiega Gazzolo – perché in realtà di Pitagora si hanno notizie contraddittorie, si dubita persino sia mai esistito. E le poche certezze che crediamo di avere sono false: non inventò lui la tavola che porta il suo nome, né scopri il famoso teorema, noti già da un migliaio di anni a egizi, indiani e cinesi». La favola ordita Da Gazzolo parla, dunque, di un greco che, circa cinquecento anni prima di Cristo, fuggì in barca a vela dalla sua isola e approdò in Calabria, dove, in un mondo fatto di uomini, fondò una scuola di saggezza aperta alle donne. «Pitagora diceva che l’anima è senza corpo, quindi senza sesso. Ma la saggezza – prosegue Gazzolo – può essere pericolosa, perché desta invidie e provoca ritorsioni. Così, un discorso che stava rivolgendo al popolo sul rispetto della vita non umana, animali e piante, gli costò la vita. C’è chi dice che fu scannato lì per lì sulla piazza, aizzata da macellai e cacciatori, altri che fu arso vivo nella sua scuola, altri ancora che scampò nascosto in una profonda buca e che, riemerso dopo tre giorni, subito riprese a parlare, spiegando al popolo che il corpo era rimasto a marcire sottoterra, mentre l’anima era entrata nel sano corpo di un altro uomo».

Ma questa non è una favola da finale triste, perché – come spiega Gazzolo – «l’anima del saggio esule ha continuato a migrare tra i viventi e, cinquecento anni dopo l’uccisione del suo corpo, ha abitato, forse, in quello di Ovidio», il poeta che nelle Metamorfosi riprese in versi latini quest’ultimo troncato discorso sulla «sacralità di ogni forma di vita, per infima che sia». Un discorso ce ancora oggi continua a parlarci con ogni voce. «La voce – conclude Gazzolo – che abita il suono della saggia pietà».