Compagnia Diaghilev Bari, debutta “Le Vaiasseidi” in scena dall’8 al 12 marzo nell’auditorium Vallisa

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BARI – Tra i più importanti autori dialettali del Seicento napoletano con Giambattista Basile, l’autore del «Cunto de li cunti», Giulio Cesare Cortese è passato alla storia con «La vaiassiede», opera in cinque canti del 1612 nella quale racconta le nozze travagliate di tre giovani «vaiasse» con i rispettivi innamorati. Un’opera che diventa il perno dell’inedito spettacolo teatrale della compagnia Diaghilev «Le vaiasseidi» al debutto martedì 8 marzo e in scena sino a sabato 12 marzo (ore 21) nell’auditorium Vallisa di Bari per la rassegna «Teatro Studio». Paolo Panaro, autore di regia e drammaturgia, tiene insieme il testo di Cortese con altre creazioni affini, facendosi lui stesso interprete del lavoro con Altea Chionna, Alessandro Epifani, Francesco Lamacchia, Mario Lasorella e Tiziana Manfredi. A contrappuntare il vorticoso e incalzante sviluppo della trama, un florilegio di musiche popolari e villanelle del Cinquecento interpretate dal baritono Angelo De Leonardis accompagnato dalla clavicembalista Debora Del Giudice. I costumi li firma Francesco Ceo.

Tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento Napoli era la città più teatrale della penisola. La lingua partenopea, con la sua forza e sua la vivacità, era l’unica in grado di contrastare l’imperante centralità del volgare toscano. E l’opera di Giulio Cesare Cortese, che oltre a «La vaiasseide» include «Micco Passaro ‘nnamorato» e la favola “boscareccia” «La rosa», si pone con Basile come uno degli esponenti di punta degli «anticruscanti», i letterati che rivendicavano la dignità del parlato e dei singoli dialetti. Per cui, muovendosi sul sottile confine che separa emulazione e parodia, e contaminando la lezione dei grandi maestri del teatro cinquecentesco con gli spunti e le sollecitazioni che gli derivano dalla Commedia dell’Arte, l’opera di Cortese si misura in questo progetto con autori del calibro di Tasso, Aretino e Buonarroti il Giovane, il pronipote del famoso scultore e pittore. Il risultato è una lingua ironica e divertente, di grande novità e vivacità espressiva.

In napoletano il termine «vaiassa» indica la domestica, la serva di casa. Pertanto, «Vaiasseide» ha il significato di «epopea delle serve», in questo frangente Renza, Preziosa e Carmosina, che nel tentativo di superare le resistenze dei padroni dei loro innamorati Menechiello, Cienzo e Ciullo immergendo il lettore (in questo caso, lo spettatore) in un vivace mondo fatto di aspirazioni, problemi e rituali popolani. Mentre sul realistico sfondo della lotta al banditismo meridionale, fra nozze, feste, abbuffate, travestimenti, agnizioni e drammi amorosi, la rivolta delle «vaiasse» contro i padroni si intreccia alle peripezie amorose del «guappo napolitano» Micco.