Dal 22 al 30 aprile tornano in Vallisa “Le Vaiasseidi” ispirate a Giulio Cesare Cortese

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BARI – Il Covid costringe ancora una volta la Compagnia Diaghilev alla riformulazione della programmazione, che prevedeva in questo periodo un omaggio ad Arthur Schnitzler, rinviato al mese di maggio. Per cui, nell’auditorium Vallisa di Bari, dal 22 al 30 aprile (ore 21, festivi ore 19), tornano in scena «Le Vaiasseidi», tributo a Giulio Cesare Cortese, tra i più importanti autori dialettali del Seicento napoletano con Giambattista Basile, famoso per il «Cunto de li cunti». Cortese è, invece, passato alla storia con «La vaiassiede», opera in cinque canti del 1612 nella quale racconta le nozze travagliate di tre giovani «vaiasse» con i rispettivi innamorati. Un’opera che diventa il perno dell’inedito spettacolo teatrale della compagnia Diaghilev «Le vaiasseidi» nuovamente in scena per la rassegna «Teatro Studio».

Paolo Panaro, autore di regia e drammaturgia, tiene insieme il testo di Cortese con altre creazioni affini, facendosi lui stesso interprete del lavoro con Altea Chionna, Alessandro Epifani, Francesco Lamacchia, Mario Lasorella e Tiziana Manfredi. A contrappuntare il vorticoso e incalzante sviluppo della trama, un florilegio di musiche popolari e villanelle del Cinquecento interpretate dal baritono Angelo De Leonardis accompagnato dalla clavicembalista Debora Del Giudice. I costumi li firma Francesco Ceo.

Tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento Napoli era la città più teatrale della penisola. La lingua partenopea, con la sua forza e sua la vivacità, era l’unica in grado di contrastare l’imperante centralità del volgare toscano. E l’opera di Giulio Cesare Cortese, che oltre a «La vaiasseide» include «Micco Passaro ‘nnamorato» e la favola “boscareccia” «La rosa», si pose con Basile come uno degli esponenti di punta degli «anticruscanti», i letterati che rivendicavano la dignità del parlato e dei singoli dialetti. Per cui, muovendosi sul sottile confine che separa emulazione e parodia, e contaminando la lezione dei grandi maestri del teatro cinquecentesco con gli spunti e le sollecitazioni che gli derivano dalla Commedia dell’Arte, l’opera di Cortese si misura in questo progetto con autori del calibro di Tasso, Aretino e Buonarroti il Giovane, il pronipote del famoso scultore e pittore. Il risultato è una lingua ironica e divertente, di grande novità e vivacità espressiva.

In napoletano il termine «vaiassa» indica la domestica, la serva di casa. Pertanto, «Vaiasseide» ha il significato di «epopea delle serve», in questo frangente Renza, Preziosa e Carmosina, che nel tentativo di superare le resistenze dei padroni dei loro innamorati Menechiello, Cienzo e Ciullo immergendo il lettore (in questo caso, lo spettatore) in un vivace mondo fatto di aspirazioni, problemi e rituali popolani. Mentre sul realistico sfondo della lotta al banditismo meridionale, fra nozze, feste, abbuffate, travestimenti, agnizioni e drammi amorosi, la rivolta delle «vaiasse» contro i padroni si intreccia alle peripezie amorose del «guappo napolitano» Micco.