GALLIPOLI (Lecce) – La Chiesa di Santa Maria del Canneto sorge a Gallipoli nei pressi del suggestivo specchio d’acqua del porto, in una posizione a metà tra vecchio e nuovo, con uno sguardo al castello e uno alla storica Fontana Greco-Romana, mentre alle sue spalle, il sole al tramonto illumina la pietra e ferma l’attimo.
Mentre da una parte, lungo il lastricato alla sua sinistra la vita brulicante si svolge tra locali e negozi, dall’altro la storia si racconta nell’immobilità del Seno del Canneto, ove anticamente sorgeva il porto, in un angolo di mondo che tuttora accoglie pescherecci e turisti che si fermano ad osservare quella che pare l’illustrazione di un racconto in cui sacro e profano sono le due facce di una stessa medaglia.
La Chiesa di Santa Maria del Canneto fu edificata nel ‘600 sulle rovine di una struttura preesistente e secondo la leggenda, la sua nascita è risultato di un evento miracoloso: da un incendio divampato nei pressi del porto, di cui alcuni pescatori gallipolini furono testimoni oculari, fu infatti recuperata intatta l’icona di una Madonna sfuggita alle fiamme.
La chiesa è piccola, ricorda le romantiche strutture tipiche delle campagne e delle marine lontane del flusso del turismo, nonostante la sua posizione centrale.
Il viandante viene accolto da un portico con archi a tutto sesto.
Il carparo è protagonista delle tre navate interne, ma lo sguardo viene rapito dal soffitto ligneo a cassettoni finemente cesellato al cui centro, un’effige della Madonna, rifinita con motivi in oro, veglia su chi si sofferma per una preghiera, o semplicemente per un momento di riflessione.
Il gusto baroccheggiante dell’epoca si manifesta nell’arco che introduce al presbiterio, decorato con fiori, alle spalle dell’altare, l’icona miracolosa, di mirabile fattura è custodita in una cornice in pietra, mentre volgendo lo sguardo verso l’ingresso, si possono ammirare l’organo settecentesco e la tela di Santa Cristina attribuita a Giovani Andrea Coppola.
Le navate laterali in origine ospitavano quattro altari lignei, due per lato, di cui oggi si sono oggi perse le tracce.
di Claudia Forcignanò