LECCE – Le ville e i parchi comunali sono luoghi preziosi per ogni città, una sorta di giardino a disposizione di tutti in cui rifugiarsi per isolarsi dal caos del traffico e rilassarsi leggendo, passeggiando, o semplicemente sedendosi su una panchina godendo dell’ombra degli alberi.
La villa comunale di Lecce, per la sua posizione a metà tra il centro storico e le principali vie dello shopping, si presta perfettamente alla funzione di locus amoenus in una città congestionata dal traffico e dallo smog.
Per accedere alla villa comunale dall’ingresso principale bisogna recarsi in via XXV Luglio, ma altri tre ingressi posti in via Achille costa, via San Francesco d’Assisi e via Giuseppe Garibaldi, garantiscono l’accesso da più punti.
A chi vive a Lecce, la villa comunale può apparire come un grande giardino, ma in realtà si estende su una superficie di oltre 34mila metri quadri.
Il progetto per la sua realizzazione risale al biennio 1817/1818, quando il marchese Giuseppe Ceva Grimaldi, intendente di Terra d’Otranto avviò una serie di interventi per valorizzare l’area a ridosso della mura cittadine.
Per la realizzazione dello spazio verde, l’incarico fu affidato all’ingegnere comunale Bernardino Bernardini che col naturalista Gaetano Stella elaborò un progetto che riscontrò il parere positivo del Consiglio di intendenza.
Nel 1819 fu firmata l’autorizzazione alla realizzazione di una zona verde che prevedeva viali alberati è un giardino botanico.
La villa comunale, come si presenta oggi è frutto di una serie di interventi che nel corso degli anni hanno modificato il progetto originale.
Nel 1830 l’ingegnere Luigi Pino avrà a disposizione 6.454,26 ducati per realizzare il progetto.
Il perimetro della villa comunale fu recintato con una balaustra in legno dipinto e colonne in pietra.
All’interno, Gaetano Stella, che nel frattempo era stato nominato direttore dell’Orto Botanico e primo direttore della “pubblica Villa di Lecce innanzi la Casa dell’Intendenza”, decora lo spazio con alberi da frutto, da ornamento e roseti avendo cura di apporre su ogni pianta un’etichetta identificativa.
Nell’idea di Gaetano Stella, le piante autoctone ed esotiche, oltre al bosco di pini, avrebbero fatto da corollario ai fiori delle aiuole che si sarebbero alternati col mutare delle stagioni.
Una deplorevole usanza del tempo, giustificabile solo con la “cultura” dell’epoca, volle che all’interno della villa venisse collocata una gabbia con all’interno alcuni lupi.
Le povere bestie, private di libertà e dignità, oltre ad essere una disgustosa attrazione per molti anni, furono motivo della denominazione della villa, che fino al 1883 fu conosciuta come “Villa della Lupa”.
Dal 1883 fu invece intitolata a Giuseppe Garibaldi e fu sottoposta ad un ingente lavoro di restauro per volere del nuovo direttore Cosimo De Giorgi che bonificò il bosco spianando le collinette volute dal suo predecessore e aggiunse nuovi alberi e fiori trasformando la villa comunale in luogo di aggregazione e location per eventi.
Negli anni trenta, con l’avvento del fascismo, per decisione dell’Opera Nazionale Balilla, l’impianto originario fu definitivamente cancellato e nel 1941, Mussolini ordinò di coltivare circa due terzi della superficie sono con ortaggi, orzo e legumi a scapito dei fiori.
Il custode della villa comunale poteva alloggiare in un elegante padiglione in stile neoclassico composito come “La Flora”, progettato nel 1840, dall’architetto Benedetto Torsello.
Nel 1859, al padiglione “La Flora” fu affiancata una fontana che per lungo tempo ospitò dei cigni.
Nel 2000 la fontana fu ristrutturata ingrandendo la vasca principale e inglobandola in una struttura in stile neoclassico preesistente.
La fontana oggi si presenta divisa in due strutture ben distinte attraversare da un ponticello e delimitate da una ringhiera in ferro.
Dal 1860 per la villa comunale iniziò un periodo di grandi rinnovamenti, oltre alla fontana infatti furono introdotte nuove strutture, come l’alloggio del custode presso l’ingresso, nuove piante da fiore e il padiglione adibito a bar inaugurato nel 1871 nei pressi dello spiazzo centrale, furono inoltre posizionate lanterne a gas per l’illuminazione serale e nel 1873 vengono due leoni in terracotta a grandezza naturale, su basamenti in pietra leccese, scolpiti da Luigi Morrone.
Tra il 1886 e il 1889 vengono posizionati 12 busti in marmo e pietra, raffiguranti illustri personaggi salentini, 10 dei quali opera dello scultore Eugenio Maccagnani, mentre 2 sono opera di Giuseppe Mangionello.
I busti, inizialmente collocati lungo il perimetro dello spiazzo centrale, in seguito sono stati spostati lungo i viali e col tempo, da dodici, sono diventati 22.
Ogni villa comunale che si rispetti merita di essere popolata da bambini che giocano e quella di Lecce non fa eccezione, infatti è dotata di due aree giochi, una più grande si trova in prossimità della fontana ed è pavimentata con un tappeto antitrauma, mentre una più piccola si trova in prossimità del bar.
Quella che un tempo era una stalla, oggi è inoltre una ludoteca.
La villa comunale si presenta oggi come un classico giardino in stile italiano: lo spazio è diviso in quattro settori da due assi viari e convergono verso il centro in una piazza di forma circolare in cui svetta in tempietto originariamente proprietà delle Suore Marcelline.
Il tempietto è una delle principali attrazioni della villa comunale, in stile neoclassico, si accede da tre gradini e la cupola è sorretta da otto colonne con capitelli corinzi che sorreggono un architrave riccamente decorato.
La cupola è decorata con maioliche di colore verde e sulla cima è posta una croce in ferro.
Le aiuole hanno un perimetro regolare e sono delimitare da cordoli in cemento o pietre.
La recinzione in legno è stata da un parapetto in muratura con ringhiera in ferro.
Ed è così che all’ombra di pini, palme, pioppi, salici, mimose, araucarie, acacie, robinie, alberi di Giuda, cipressi, cedri, eucalipti e un esemplare di Firmiana simplex, agave, yucca e Phytolacca dioica, i leccesi passeggiano, i ragazzi si amano, gli studenti marinano scuola, gli anziani riposano, i turisti si ristorano.
di Claudia Forcignanò