Gente di Puglia. Renata Fonte: il coraggio di difendere la propria terra a costo della vita

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Quando nel 1951 Renata Fonte venne al mondo, certo nessuno avrebbe immaginato che il suo nome sarebbe diventato il simbolo di tutte le donne disposte ad esporsi in prima persona e senza timore in nome della legalità, ma soprattutto non avrebbe immaginato che sarebbe stata la prima donna politica italiana uccisa dalla mafia.

Quando il 31 marzo1984 fu assassinata con tre colpi di pistola mentre tornava a casa, l’idea che balenò per prima, fu quella di un omicidio scaturito da una personale avversione da parte di Antonio Spagnolo, un collega del partito di cui faceva parte.

Le indagini però hanno dimostrato che Renata Fonte fu uccisa perché stava difendendo la sua terra: la sua elezione alle amministrative, le avrebbe infatti dato il potere di impedire la costruzione di un villaggio turistico nell’area naturalistica di Porto Selvaggio con il conseguente deturpamento di una delle zone più suggestive del Salento.

Chi diede ordine di uccidere lo fece con l’intento di chiuderle la bocca per sempre, ma l’effetto che ottenne fu esattamente contrario e come accade sempre in questi casi, il nome di Renata Fonte continua tuttora a far rumore e ad essere l’emblema della lotta contro la violenza sulle donne e in nome della legalità.

Figlia di un funzionario del Ministero della Difesa, Renata Fonte si trasferì a Chieti con la famiglia, ma il rapoorto tra i genitori andrò presto deteriorandosi fino al divorzio dei due.

Tornata nella sua città natale, Nardò, frequentò il Liceo Classico, ma a 17 anni interruppe gli studi perché incontrò  Attilio Matrangola, sottoufficiale dell’Aeronautica che sposò nel 1968, un anno dopo, a Mariano Comense diede alla luce Sabrina e nel 1973, in Sardegna nacque Viviana. Renata per alcuni anni seguì il marito nei sui spostamenti lungo lo Stivale, fino a quando decise di completare il percorso interrotto a 17 anni conseguendo il diploma di maturità magistrale.

Quando finalmente nel 1980 il marito ottenne il trasferimento definitivo a Brindisi, si laureò in lingue e letteratura straniere presso l’Università del Salento e si dedicò all’insegnamento presso la scuola elementare di Nardò.

La mente brillante di Renata Fonte e il suo amore per il Salento, fecero sì che la vita da insegnante, moglie e madre si conciliasse con la politica in un periodo storico in cui il fermento culturale e l’attivismo erano pane quotidiano per chiunque prestasse attenzione al proprio vissuto.

Iniziò così la militanza nel militando nel PRI, Partito Repubblicano Italiano, in cui rivestì il ruolo di Segretario cittadino nel Comune di Nardò.

Il destino nel frattempo faceva il suo corso: il Parco Naturale Regionale di Porto Selvaggio era stato preso di mira come location ideale per una serie di aberranti speculazioni edilizie, Renata Fonte volle andare a fondo alla questione, smosse le carte e scoprì una serie di illeciti ambientali, così a capo del “Comitato per la Tutela di Porto Selvaggio”, si oppose con tutte le sue forze all’imminente deturpazione di un angolo di paradiso.

Ormai la strada politica era tracciata: si candidò alle elezioni amministrative diventando la prima donna assessore di Nardò curando l’assessorato alle finanze, alla pubblica istruzione, cultura, sport e spettacolo, per il direttivo provinciale del partito e divenne responsabile per la provincia del settore cultura.

Renata Fonte era una donna coraggiosa, leale, giusta, non era ricattabile e non era disposa a piegarsi, quindi doveva essere messa a tacere: nella notte tra il 31 marzo e il 1 aprile 1984, fu raggiunta da tre colpi di pistola mentre rientrava a casa dopo aver preso parte ad un consiglio comunale.

Aveva 33 anni.

La matrice mafiosa dell’omicidio fu subito chiara nonostante i tentativi di insabbiamento.

i tre gradi di giudizio hanno portato alla condanna di Giuseppe Durante e Marcello My in quanto esecutori materiali, Mario Cesari e Pantaleo Sequestro rei di aver svolto il ruolo di intermediari, e di Antonio Spagnolo, collega di partito di Renata Fonte, primo dei non eletti alle precedenti elezioni e mandante dell’omicidio.

Il 16 marzo 1987 la Corte d’Assise di Lecce si è espressa in via definitiva con la sentenza depositata dal presidente Domenico Angelelli e dal giudice istruttore Luigi de Liguori condannando all’ergastolo il mandante e gli esecutori materiali mentre agli altri imputati furono inflitte pene per oltre 66 anni di reclusione.

Renata Fonte e le sue battaglie non si sono fermate la notte del 31 marzo 1984: in sua memoria, nel 1998 è nata l’associazione “Donne Insieme” che promuove la legalità e non violenza sul territorio; la collaborazione tra Procura Nazionale Antimafia, Questura e il Pool Antiviolenza del Tribunale, ha dato vita alla “Rete Antiviolenza Renata Fonte”, primo centro antiviolenza, riconosciuto dal Ministero dell’Interno in collaborazione con il Ministero delle Pari Opportunità; a Nardò una piazza porta il suo nome a perenne memoria, mentre nel 2009, in occasione del 25º anniversario della morte, nel Parco di Porto Selvaggio è stata inaugurata una stele in suo onore.

Ogni anno, il 21 marzo, in occasione della Giornata della Memoria e dell’Impegno di Libera, il nome di Renata Fonte viene citato nel lungo elenco dei nomi delle vittime di mafia e fenomeni mafiosi.

Infine, persino un’orchidea le è stata dedicata: la Ophrys x sivana nothosubsp. renatafontae, descritta dai naturalisti salentini Roberto Gennaio, Marco Gargiulo, Piero Medagli e Francesco Salvatore Chetta.

Claudia Forcignanò