BRINDISI – Altro che “L’umarell”. Quattro anni dopo essersi ispirato ai pensionati che guardano i cantieri, per scrivere una canzone metafora in clima lockdown, Fabio Concato torna a tutti gli effetti un “Musico ambulante”. Così si intitola il suo neverending tour, che venerdì 22 marzo, con inizio alle ore 20.30, farà una tappa speciale: il Nuovo Teatro Verdi di Brindisi. Biglietti disponibili online alla pagina rebrand.ly/FabioConcato e al botteghino del Verdi, dal lunedì al venerdì, ore 11-13 e 16.30-18.30. Il concerto sostituisce in cartellone lo spettacolo “Fantozzi. Una tragedia”, previsto il 9 marzo, e subentra nella rosa dei titoli in abbonamento. I possessori di biglietto possono rivolgersi al botteghino del teatro per chiederne la riemissione con conferma del posto o il rimborso.
Delicato, intimista, personale. E ancora garbato, nostalgico, sincero. Fabio Concato è una delle certezze della nostra musica d’autore e un grande interprete della scena musicale italiana che crede ancora nella poesia intessuta su armonie che hanno, a tratti, una stretta familiarità con il jazz. Nel corso degli anni, ha saputo ritagliarsi uno spazio importante narrando in modo molto personale le piccole grandi storie della quotidianità. Nostalgie, ricordi, speranze, rivelazioni e confessioni, lampi d’allegria contagiosa e momenti di grande tenerezza popolano il mondo delle sue canzoni, simili a foto, illustrazioni e annotazioni in un diario della memoria che è riuscito a fare breccia nel mainstream. Nel lungo viaggio dal 1977 – anno del suo esordio discografico – ad oggi, il pubblico ha seguito le evoluzioni pacate e immaginifiche di un autore elegante, capace di grande autoironia, sempre attento alle questioni ambientali, sociali e civili: il concerto brindisino sarà l’occasione per ascoltare non solo i successi, come “Domenica bestiale”, “Fiore di maggio”, “Guido piano” e “Rosalina”, ma anche tanti brani del suo repertorio fino ai singoli dell’ultimo album uscito nel 2012. Con Concato sul palco i suoi amici “musici”: Ornella D’Urbano (arrangiamenti, piano e tastiere), Gabriel Palazzi Rossi (batteria), Stefano Casali (basso) e Larry Tomassini (chitarre).
Milanese doc, Fabio Concato inizia la sua carriera nella seconda metà degli anni Settanta con un repertorio costellato di risonanze Jazz, accostato a testi intensi e introspettivi. Il successo arriva nel 1982 con “Domenica bestiale”, in gara al Festivalbar, che segna una decisa virata poetica e melodica rispetto agli esordi. Il cambio di rotta, consolidato negli album “Fabio Concato” (1984) e “Senza avvisare” (1986), introduce pezzi immortali come “Fiore di maggio” e “Guido piano”, che testimoniano il passaggio a sonorità smooth e testi dall’aura crepuscolare. Concato trova il suo posto nella scena d’autore italiana esplorando con libertà e senza cedere alle mode del mercato. Negli anni si distingue per progetti come “Blu” (1996), realizzato con Flavio Premoli della PFM, e “Ballando con Chet Baker” (2001), nei quali emerge con sempre maggiore centralità la sua attitudine al jazz latino. L’impegno sociale trova voce in “051222525”, brano dedicato ai diritti dell’infanzia, nella partecipazione allo Zecchino d’Oro, oltre che nelle musiche per l’audiolibro de “Il piccolo principe”. Il ritorno alla discografia tradizionale arriva nel 2016 con “Non smetto di ascoltarti”, in collaborazione con due jazzisti, il pianista anglo-italiano Julian Oliver Mazzariello e il trombettista Fabrizio Bosso, che unisce standard della musica italiana e proprie composizioni riarrangiate in chiave jazz. “Musico ambulante” è la summa di una carriera ultraquarantennale ricostruita per intero in acustico, un lavoro coerente con l’originalità e il valore della sua canzone d’autore, che nel 2022 gli sono valsi il Premio Tenco.
«Mi considero un “musico ambulante” – ha detto Fabio Concato – perché vado dove mi chiamano a fare musica. Vivo una fase molto bella della mia vita: nel pubblico esiste un desiderio smisurato di emozionarsi, di ritrovare serenità, ma anche di commuoversi e di ridere. Negli anni della pandemia avremmo avuto bisogno di musica, di teatro, di un museo, di vedere un buon film per avere ristoro, non solo in termini economici, anche spirituali. Spesso potrei lasciare un cartonato sul palco e andarmene perché buona parte del pubblico conosce tutte le canzoni a memoria. Ma devo dire che non mi stanco mai: il concerto è la parte più divertente di questa professione. Sul palco succedono cose che dipendono un po’ dalla giornata. Così magari penso a voce alta e, qualche volta, sparo delle minchiate pazzesche. Però, scherzi a parte, raccontarsi e raccontare può restituire idee e una luce diversa con cui leggere le cose del mondo».