Il saluto del Sindaco Antonio Decaro al XVIII Congresso Nazionale della Cgil

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BARI – Si è aperto a Bari, nel nuovo padiglione della Fiera del Levante, il XVIII Congresso nazionale della CGIL che quest’anno coincide con l’elezione del segretario generale, dopo gli 8 anni di mandato di Susanna Camusso.

Di seguito l’intervento di saluto affidato al sindaco di Bari Antonio Decaro.

 

Benvenuti nella città di Bari e nella sua area metropolitana.

Una terra formidabile che offre splendidi paesaggi, arte e cultura. Dalle spiagge della costa a sud ai siti Unesco come Alberobello, senza dimenticare gli splendidi edifici fatti costruire da Federico II di Svevia, che amò questa terra regalandoci monumenti di inestimabile valore. Questa terra, è costellata di città e paesi che portano le tracce della grande storia, quella dei popoli e delle civiltà che l’hanno attraversata, e della storia minuta, quella dell’operosità delle donne e degli uomini che l’hanno fatta grande nel tempo.

Ma Bari è anche il luogo simbolo dell’intraprendenza culturale e sociale di quei terroni che, agli inizi del Novecento, perseguirono con tenacia l’idea di Gaetano Salvemini di realizzare un Ateneo con una prospettiva adriatica o di costruire un Politeama meraviglioso come il Petruzzelli in aggiunta al Teatro Piccinni, che proprio di questi tempi, 75 anni fa ospitò quel primo congresso dei Comitati di Liberazione Nazionale che aprì la strada alla libertà dall’oppressione nazi fascista e alla democrazia nel nostro Paese.

La mia emozione di oggi, non è soltanto quella legata alla gioia di essere con voi e alla solennità di questo evento, ma anche a quel sentimento di orgoglio che noi gente del sud proviamo, in modo così forte, nel rivendicare con fierezza i risultati raggiunti, in un contesto territoriale non facile, grazie alla intraprendenza e alla laboriosità da “popolo di formiche”, che “avrebbe spaventato un popolo di giganti”, come diceva Tommaso Fiore. Di questa intraprendenza e laboriosità noi siamo particolarmente orgogliosi, perché le nostre radici del sapere e della conoscenza si sono nutrite di questa terra e dei suoi valori.

Valori su cui abbiamo costruito la specificità della nostra area metropolitana, rispetto alle altre realtà del sud. La quinta area più popolosa del Paese, con oltre 1.200.000 abitanti, il distretto industriale più importante del versante adriatico italiano per volume di ricchezza, ma anche l’area dove, negli ultimi anni, nonostante la congiuntura economica negativa, sono stati effettuati investimenti privati consistenti. Non è certo frutto di un caso, la presenza di alcuni tra i gruppi industriali più importanti del mondo – la Getrag, la Bosch, la General Electrics, la Osram, la Merck Serono, la Magneti Marelli e di tante imprese del settore manifatturiero, agroalimentare, chimico, farmaceutico ed aereonautico. Tutte presenze che danno il senso della multi settorialità e multi polarità che sono ormai le caratteristiche della vitalità del nostro sistema industriale.

Ma tutto ciò è stato possibile realizzarlo anche grazie all’azione di un sindacato aperto e moderno, pronto a cogliere le sfide più innovative. Un sindacato che proprio qui in Puglia ha una tradizione di lotte per l’emancipazione dei lavoratori e per la libertà. Il sindacato di Giuseppe Di Vittorio e di Peppino Di Vagno e di tutti quelli che, anche a costo della vita, hanno contribuito a costruire la democrazia nel nostro Paese. Altro che deriva neoliberista o comitati d’affari o altre sciocchezze varie, dette da chi non ha né cultura né memoria.

Un Paese (dicevo) che, purtroppo oggi, stentiamo a riconoscere. Un Paese che fonda le proprie radici sulla Costituzione più bella del mondo che ci ricorda che l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro.

Quel lavoro che è ancora oggi uno strumento necessario di emancipazione per tante persone. Penso alle donne e ai giovani di questa terra, nel Mezzogiorno d’Italia, dove proprio il lavoro può fare la differenza per un nuovo sviluppo e una crescita più equa.

La nostra è una terra dove ancora oggi è importante parlare di lavoro, perché non c’è e perché per tanto tempo ha rappresentato una moneta di scambio per clientele o per interessi particolari. In questa terra che ha dato prova negli ultimi dieci anni di voler rappresentare un altro sud, purtroppo, ancora il tema del lavoro è uno snodo cruciale. Voglio ricordare qui gli operai della OM carrelli elevatori, che proprio in queste ore tornano ad avere paura per il loro futuro lavorativo.

Una vertenza che nonostante l’impegno di tutti, sindacati e istituzioni, di Susanna Camusso in prima persona che ringrazio, non vede ancora la soluzione definitiva a causa di un atteggiamento eccessivamente rigido da parte della curatela fallimentare.

Analogo stallo lo registriamo per uno dei simboli identitari di questa terra: “La Gazzetta del Mezzogiorno2.

Su quest’ultima vertenza si gioca un’importante partita per il destino di centinaia di lavoratori, ma anche sul diritto all’informazione della nostra terra.

Questa è una battaglia che merita l’impegno e la determinazione di tutti. Mi permetterò di consegnare nelle mani del nuovo segretario nazionale l’auspicio di una battaglia comune e cioè quella che i procedimenti giudiziari relativi alle crisi aziendali siano aperti alle rappresentanze dei lavoratori.

Mentre cercavo le parole per questo discorso, ho pensato a quali fossero quelle che di solito si associano al sindacato. Ebbene mi sono venute in mente soprattutto parole come lotta, come rivendicazione, come battaglia. Eppure a me oggi, in questo tempo in cui anche chi lavora spesso si sente solo, indifeso, ecco a me oggi, quando penso al sindacato, viene in mente una parola diversa. È la parola “protezione”. Una parola di origine latina che dà calore, che significa coprire. Una parola antica, forse arcaica. Una parola forse fuori moda. Ma se proteggere è fuori moda, e se invece oggi va di moda la solitudine, se va di moda la vertigine dello stare sempre in bilico, se va di moda l’idea che sfidare il futuro vuol dire mettere in discussione i propri valori e le proprie certezze, se va di moda accettare la precarietà come se fosse un destino necessario e ineludibile, beh’ allora io, a costo di sembrare anacronistico, dico lunga vita al sindacato: vi auguro di non essere mai di moda.

Benvenuti a Bari e buon lavoro a tutti voi!”.